Descrizione
Il ritrovamento di opere d’arte di un certo pregio negli edifici sacri dell’entroterra rappresenta la conferma di quanto Venezia, nella sua millenaria storia, sia stata una vera e propria fucina sul piano artistico. Non è dunque da stupirsi se nei depositi delle chiese, negli oratori campestri o in qualche villa nobiliare sia ancora oggi possibile scoprire qualche capolavoro disperso che attende di essere riconosciuto, restaurato e valorizzato. Il paese di Fossò ha avuto questa fortuna, maturata per una serie di favorevoli circostanze, che ha portato al riconoscimento e al restauro di due opere particolarmente significative sotto il profilo storico- artistico.
Per la realizzazione di questi progetti di restauro, dei quali ho avuto il ruolo di coordinatore, sono debitore alla restauratrice e storica dell’arte Sara Grinzato, conosciuta nel 2011 in occasione del restauro del dipinto raffigurante il Crocefisso tra sant’Antonio e santa Marta, attribuito a Mattia Bortoloni, della chiesa di Sandon, frazione di Fossò [1]. Allo stesso tempo devo riconoscenza allo studioso Paolo Delorenzi che con grande cortesia ha favorito e condiviso le ricerche sul dipinto del Longhi, alla restauratrice Giorgia Busetto, al Rotary club Venezia - Riviera del Brenta, al Comune di Fossò, all’Associazione dei Cavalieri al Merito della Repubblica Italiana Riviera del Brenta e alle aziende che generosamente hanno sostenuto i costi per gli interventi di restauro. L’interesse fin da subito condiviso con Sara Grinzato verso i beni artistici del territorio, mi fece tornare in mente la presenza di una piccola pala vista più volte in un deposito della chiesa parrocchiale novecentesca di Fossò.
Un’opera che aveva suscitato in me un particolare interesse per il soggetto [2], ma anche per le pietose condizioni determinate dalla cattiva conservazione dovuta alla permanenza per lungo tempo in un luogo umido, sporco e frequentato da roditori che avevano rosicchiato in più parti gli angoli della tela. La sorpresa maggiore, al momento del sopralluogo effettuato insieme al parroco don Claudio Savoldo per decidere un possibile restauro, fu il rinvenimento della scritta dipinta a olio sul retro della pala che recita: “Fu fatta da Fratelli dell’Oratorio e Fù dipinta da me’ Alessandro Longhi/ Academico Regio Profesor e fratello del medesimo Oratorio Lì tre settembre 1809”. Dunque questo dipinto tanto maltrattato era un’opera autografa di Alessandro Longhi, artista considerato a pieno titolo il miglior ritrattista del Settecento veneziano [3].
Grazie alla biografia dedicata al pittore presente nel Dizionario Biografico degli Italiani [4], con grande sorpresa è stata trovata l’interessante citazione “che Alessandro Longhi morì a Venezia nel 1813, poco tempo dopo aver dipinto una pala con il Cuore di Gesù per l’oratorio dei Ss. Pietro e Paolo, andata perduta, di cui fanno menzione le fonti ottocentesche”. Senza ombra di dubbio si trattava del nostro dipinto. Dunque si poneva l’interrogativo: per quali ragioni la pala era emigrata da Venezia a Fossò? Perché se ne era perduta traccia? Le ricerche d’archivio, condotte dallo scrivente con Sara Grinzato e in seguito pubblicate in un libro [5], hanno permesso di appurare che l’opera fu portata in parrocchia da don Luigi Stiore, parroco a Fossò dal 1836 al 1873.
Don Luigi era nato a Venezia il 25 agosto 1789 da Giuseppe Stiore marangon (falegname), impiegato all’arsenale e da Bartolomea Gasparon. Il battesimo fu celebrato nella basilica di San Pietro di Castello, importante luogo di culto che fu cattedrale del patriarcato di Venezia fino al 1807. Questa zona, situata all’estremità nord-orientale della città lagunare, fu per la famiglia Stiore luogo di residenza e frequentazione, tanto che don Luigi non cessò mai i rapporti con i parenti che ancora vi risiedevano dopo la sua nomina a Fossò [6]. Fu dunque l’attaccamento alla parrocchia d’origine che, a nostro avviso, fece maturare in don Luigi Stiore la decisione di trasportare nella sua nuova cura d’anime in campagna quel dipinto, a lui sicuramente noto, raffigurante il Sacro Cuore di Gesù con i santi Luigi Gonzaga e Filippo Neri presente nell’oratorio di san Gioachin annesso all’ospedale dei santi Pietro e Paolo a Venezia.
Opera che, come tutti gli arredi, fu alienata dal piccolo edificio sacro in occasione delle soppressioni napoleoniche e della quale si era smarrita ogni traccia tanto da farla giudicare perduta dai critici. Con buoni margini di certezza, si può dunque ipotizzare che, essendo informato della vendita degli arredi del piccolo, amato, oratorio, don Luigi si sia fatto parte diligente per l’acquisto della pala del Longhi nella quale è presente quel san Luigi Gonzaga verso il quale egli nutriva una grande ammirazione tanto da fargli scrivere alcuni componimenti e perfino un ispirato panegirico [7].
In onore del santo per il quale aveva portato attraverso il dipinto del Longhi una prestigiosa raffigurazione a Fossò, il religioso decise di istituire una grande festa per la disputa della Dottrina Cristiana: avvenimento che, grazie alla sua sapiente organizzazione, assunse nel tempo connotazioni così ampie da far intervenire numerosi iscritti anche dai paesi limitrofi. La disputa aveva inizio in coincidenza dell’onomastico di san Luigi il 21 giugno, tempo di importanti lavori campestri, e limitava ai contadini la possibilità di presenziare ai festeggiamenti. Per queste ragioni si decise di trasportare l’avvenimento alla prima domenica di luglio. Ecco spiegata l’origine della sagra di Fossò e svelato il mistero per cui è intitolata ancora oggi a san Luigi, nonostante si svolga un paio di settimane dopo il giorno dedicato al santo protettore della gioventù studiosa.
La piccola pala di Alessandro Longhi, dopo il restauro eseguito con cura e professionalità da Sara Grinzato con la collaborazione di Giorgia Busetto sotto il diretto controllo da parte della Soprintendenza, è ora esposta nella chiesa settecentesca di Fossò. Indubbiamente si tratta di un’opera estrema, dipinta da un maestro alla veneranda età di settantasei anni. Non certo la migliore delle opere che egli realizzò nell’arco della sua ampia e fruttuosa carriera, in cui si distinse principalmente come ritrattista. La pala del Sacro Cuore è, infatti, un’opera inconsueta se paragonata al corpus artistico del Longhi. In modo particolare per il soggetto, oltre che per il formato. Inoltre, non solo trattasi di un tema e di una composizione in cui il pittore raramente si era cimentato altrove, ma è necessario considerare che al momento della sua esecuzione l’artista era affetto da malattie senili che gli impedivano di esercitare la pittura come ai tempi della sua maggior fama [8].
Resta naturalmente la soddisfazione di aver recuperato un’opera d’arte considerata perduta, averla restituita al culto dei fedeli, e aver ritrovato le origini della sagra del paese. Tutto questo per merito di un dipinto e di un parroco illuminato dei quali si stava ormai perdendo la lontana, preziosa, memoria. La seconda opera, restituita alla chiesa di Fossò dopo la riscoperta e un accurato restauro concluso nell’aprile 2019, rappresenta un raro e inedito Crocifisso ligneo della seconda metà del Trecento attribuito alla fiorente bottega dei Moranzone, attiva nella città lagunare dal XIV al XVI secolo. Di riflesso al restauro del dipinto del Longhi, portato a termine nel 2014, un sopralluogo nella chiesa novecentesca di Fossò da parte dell’ispettrice della Soprintendenza Monica Pregnolato poneva l’accento sulla necessità del recupero di quest’opera lignea, degradata dal tempo e dai pesanti restauri operati negli anni Ottanta del secolo scorso.
Suggerimento che suscitò il vivo interesse da parte di Sara Grinzato, in seguito incitata allo studio da Giovanna Valenzano dell’Università degli Studi di Padova. Le favorevoli conferme date alla parrocchia sul valore e sull’opportunità del restauro del Crocifisso da parte dello studioso Luca Mor, consigliarono il parroco don Claudio Savoldo di incaricare lo scrivente per la raccolta fondi e il coordinamento del progetto di restauro dell’opera, affidata nella primavera del 2017 alle restauratrici Giorgia Busetto e Sara Grinzato. Restauro che non ha mancato di sorprendere per numerosi aspetti. A partire dalla rimozione delle numerose ridipinture (almeno quattro) sovrapposte nel corso dei secoli che ha permesso di rivelare l’originale policromia trecentesca con vaste zone dipinte a gocce di sangue ancora vivide nei colori, dando così conferma della realizzazione eseguita per un committente desideroso di possedere un’opera dai tipici caratteri del Cristo gotico doloroso, comune alla fine del Trecento.
Altrettanto importanti sotto il profilo del restauro si sono manifestati gli interventi strutturali che sono stati scoperti di volta in volta nella prosecuzione dei lavori: interventi avvenuti non sempre felicemente sull’opera in passato, con aggiunte di legno di cirmolo in vari punti. “Dopo la delicata rimozione degli strati sovrapposti aventi lo spessore di circa otto millimetri e la rimozione dell’impannaggio non originale – ha spiegato la restauratrice Giorgia Busetto - l’operazione di restauro è proseguita con il riposizionamento corretto delle gambe, il ricollocamento del volto attraverso magneti di nuova concezione nella sua posizione originale corretta e la realizzazione delle nuove mani al posto di altre eseguite nel secolo scorso in sostituzione di quelle originali, probabilmente degradate da un massiccio attacco di insetti xilofagi”.
Una decisione, quest’ultima, così chiarita dall’ispettrice della Soprintendenza Monica Pregnolato: “La scelta di procedere all’integrazione plastica di una parte importante della figura, costituita dalle mani del Crocifisso, è stata dettata dalla necessità di restituire completezza a un’immagine scultorea destinata non alle sale di un museo – il che avrebbe potuto anche giustificare la scelta di presentare l’opera in uno stato di lacunosità - ma a un luogo di culto, in cui l’opera è tornata ad assolvere alla funzione devozionale per la quale fu in origine realizzata. Una decisione operata studiando i Crocifissi coevi e affini e realizzata utilizzando tecnologie innovative, attenendosi a rigorosi principi di reversibilità e riconoscibilità” [9].
Affrontando la parte stilistica, Sara Grinzato ha evidenziato la drammatica sofferenza espressa dal volto di questa straordinaria opera. “Una sofferenza intensa, espressa negli occhi appena dischiusi, nell’arcata sopraccigliare che culmina nell’acuta tensione muscolare della fronte, nella bocca semiaperta con le labbra contratte” [10].
La ricerca archivistica ha permesso di comprendere la provenienza veneziana dell’opera e del suo proprietario alla fine del Seicento: lo scudiere del doge di Venezia Ambrogio Bosello, collezionista ed estimatore d’arte che nel suo testamento ricordava la donazione alla chiesa di San Barnaba a Venezia del suo “Cristo grande de legno dorato con sua Croce de perer, stimato per singolare artefice, che tengo appresso il mio letto”. I consistenti lavori di restauro alla chiesa di San Barnaba, iniziati in quel periodo, probabilmente impedirono il trasferimento del Crocifisso che fu in seguito portato nella chiesetta della villa [11] di Fossò di Ambrogio Bosello da parte del suo erede Antonio Sossai.
Qui l’opera rimase per duecento anni, fino alla demolizione dell’oratorio avvenuta negli anni trenta del secolo scorso. In quella circostanza il parroco di Fossò don Giovanni Roncaglia trasportò l’antico Crocifisso prima nella chiesa del Settecento, poi nella chiesa del cimitero. Infine, in tempi più vicini a noi, l’opera fu trasferita nella chiesa novecentesca. Al termine del restauro, in accordo con la Soprintendenza, valutando le esigenze di sicurezza e devozionali, si è predisposta la sistemazione del Crocifisso nella cappellina anticamente detta di “Santa Eurosia” a sinistra del presbiterio. Si è così creata una cappella del Crocifisso, presso la quale il fedele può raccogliersi a pregare e contemplare un’opera che proviene da un tempo lontano, testimone silenziosa di storie di devozione avvenute nel corso dei suoi quasi seicento anni di vita che oggi non possiamo neanche lontanamente immaginare. Determinanti, per il buon esito del restauro, sono stati i generosi aiuti da parte del Rotary club Venezia - Riviera del Brenta (main sponsor), del Comune di Fossò, dell’Associazione dei Cavalieri al Merito della Repubblica Italiana della Riviera del Brenta, di aziende e privati cittadini.
A testimoniare l’affetto e l’interesse per il ritorno a Fossò di quest’opera straordinaria, dopo più di due anni di restauro eseguito magistralmente e con grande professionalità dalle restauratrici Giorgia Busetto e Sara Grinzato, è stata l’affluenza di oltre cinquecento persone alla sua inaugurazione, avvenuta il 7 aprile 2019. Questo a testimonianza che esiste una forte partecipazione da parte degli abitanti del luogo per la cultura del territorio. Un interesse che deve essere evidenziato e coltivato come impegno per la salvaguardia di un passato del quale tutti noi abbiamo l’obbligo di essere testimoni e custodi consapevoli.